1 maggio 2010: contro sfratti, licenziamenti e precarietà – per reddito e diritti!

Gli 80 sfratti a settimana in rapporto alle 80 assegnazioni all’anno di case popolari, dimostrano come le politiche abitative in questa città siano inadeguate all’emergenza esistente.

I 23.000 disoccupati in città, senza un contratto di lavoro, non si possono iscrivere alle graduatorie per le case popolari e le misure anticrisi pubblicizzate dal Comune di Reggio Emilia ,come gli affitti calmierati o l’agenzia per l’affitto, sono accessibili solo per chi ha un contratto di lavoro.

Chi subisce l’esecuzione del pignoramento o dello sfratto, dopo 6 mesi perde anche la residenza, perdendo così i diritti di cittadinanza, primo fra tutti la possibilità di rivolgersi al servizio sociale.

Di fatto migliaia di persone stanno subendo un’ espulsione coatta, dopo decine di anni di lavoro sul territorio e nonostante abbiano costruito qui la propria vita e i propri affetti, dopo aver contribuito alla crescita della città , sono obbligati a tornare nei luoghi di origine, siano essi in altre parti d’Italia o in altri paesi.

Scendiamo in piazza per dire che la crisi la devono pagare i palazzinari e le agenzie immobiliari, che grazie alla liberalizzazione del mercato dell’affitto hanno rubato milioni di euro, con affitti che superano il 50% di un salario medio.

La crisi la devono pagare le banche che grazie l’aumento degli affitti, hanno offerto mutui a tasso variabile con rate mensili più basse degli affitti a libero mercato, vendendo l’illusione ai malcapitati di possedere una casa. Nel corso degli anni le rate sono aumentate e chi ha fatto il mutuo si è trovato improvvisamente non più proprietario di una casa ma di un debito a causa del quale perderà l’abitazione.

Scendiamo in piazza perché siamo contro la logica del governo di questa città che, per “risolvere” la crisi, continua a regalare soldi pubblici o appalti per riqualificazioni squallide ad aziende amiche o a palazzinari.

Scendiamo in piazza perché siamo contro la logica di chi per uscire dalla crisi vuole espellere dalla città chi oggi ha perso il lavoro, perché considerato un peso per le casse del comune.

Scendiamo in strada perché vogliamo:

– IL BLOCCO GENERALIZZATO DEGLI SFRATTI

– L’ISTITUZIONE DI “UNA VIA DEL COMUNE” DOVE CHI HA PERSO L’ALLOGGIO POSSA MANTENERE LA RESIDENZA

– L’ATTUAZIONE DI POLITICHE ABITATIVE A BASSA SOGLIA DI ACCESSO RIVOLTE A CHI NON HA REDDITO O HA UN REDDITO MOLTO BASSO

– LA REQUISIZIONE DEGLI ALLOGGI PRIVATI SFITTI APPARTENENTI AI GROSSI PROPRIETARI IMMOBILIARI

– LO STOP DEFINITIVO ALLA VENDITA DEL PATRIMONIO ABITATIVO PUBBLICO PERCHE’ ALMENO QUEL POCO CHE E’ RIMASTO VENGA MANTENUTO

Vedi l’articolo su global project: per un primo maggio 2.0

Progetto Casa Bettola

Resoconto del progetto Casa Bettola

Il 2 giugno del 2009 il collettivo Sottotetto ha dato vita tramite l’occupazione della casa cantoniera in via Martiri della Bettola al progetto ‘Casa Bettola’, che consiste in uno sportello per il diritto alla casa, un appartamento di emergenza, uno spazio di incontro ed attività culturali a disposizione di associazioni ed un orto collettivo.

Questo progetto è stato presentato alla Provincia di Reggio Emilia con l’intenzione di auto recuperare un edificio pubblico destinato alla svendita mediante asta, per garantire un servizio utile alla collettività a costo zero, vista la mancanza di risorse a disposizione delle amministrazioni per affrontare l’emergenza abitativa in atto. A fine settembre abbiamo avuto un incontro con l’assessore provinciale alla sicurezza sociale Marco Fantini per convenzionare il progetto, con la volontà di uscire dallo stato di occupazione. Nonostante il progetto sia stato valutato utile e positivo per la collettività, l’assessore da allora non si è piu’ interessato ad esso.

Il collettivo ha proseguito a realizzare praticamente quello che si era prefisso nel progetto e a distanza di nemmeno un anno oggi presentiamo i frutti di questo faticoso e gratuito lavoro. L’appartamento di emergenza ha ospitato in 10 mesi 2 donne sole con bambini e 2 famiglie. Una donna con bambino e una famiglia rispettivamente dopo 3 e 5 mesi hanno trovato una soluzione alternativa, lasciando il posto ad altre persone in emergenza.

Lo sportello per il diritto alla casa è stato attraversato da un centinaio di persone e nuclei famigliari. Il primo aspetto che ci ha colpito è stata soprattutto la varietà delle persone e delle storie che si sono avvicinate al collettivo: da persone senza permesso di soggiorno a reggianissimi ex benestanti, da singoli a famiglie numerose, da coppie solide a donne separate con figli al seguito, da studenti precari a nonne combattive che vogliono occupare una casa con figlia e nipote, una varietà che ha sfatato miti e stereotipi prima di tutto nostri, e che ci ha dato una mano ad affinare – e riaffermare – il nostro discorso sul problema casa in città. Questa varietà di persone che hanno attraversato lo sportello dimostra come la questione abitativa sia una problematica estremamente trasversale e diffusasi a macchia d’olio con l’avvento della crisi economica.


CON QUALI PROBLEMATICHE ABBIAMO AVUTO A CHE FARE

Ci sembra importante porre subito l’accento su una problematica collaterale con la quale ci siamo dovuti e ci dobbiamo confrontare nostro malgrado: quella della legislazione sull’immigrazione che, a causa di maglie sempre più strette e razziste, divide gli esseri umani in persone legali e non, costringendo i primi a un degradante gioco dell’oca collegato strettamente al diritto alla casa, lavoro e permesso di soggiorno. Altrettanto importante ci sembra sfatare il mito secondo cui un collettivo come il nostro ha a che fare solo con cittadini stranieri: ben il 45% delle volte infatti si è trattato di italiani, il 49% di

nuclei migranti europei ed extraeuropei e nel restante 6% di nuclei misti.

Il 51% delle persone che si sono rivolte allo sportello lo hanno fatto come portavoce di un nucleo famigliare; nuclei, che per 810 sono composti anche da bambini e per 410 da una donna sola con figli al seguito. Per l’altro 49% si tratta di singoli, spesso studenti o lavoratori precari in cerca di emancipazione dalla famiglia di origine ma frenati dai proibitivi prezzi di mercato.

Il 74% di chi si rivolge allo sportello lo fa perchè è in condizione di morosità su un affitto privato; il 9% è moroso da una casa pubblica, il 10% è vittima di un pignoramento da parte di una o piu’ banche e il 7% è senza fissa dimora. Un dato che ci sembra interessante riguarda il numero di quelli che, quando si sono rivolti a noi, contemporaneamente erano iscritti alle liste per le case popolari: appena l’ 11%. Da questo dato si nota che le persone sempre più spesso rinunciano a iscriversi alla graduatoria delle case popolari. Il 60 % di chi si rivolge allo sportello è disoccupato , un terzo di questi sono ex artigiani che lavoravano nell’edilizia, mentre il 40% ha un lavoro fisso o precario.

Notiamo da questi dati che gli affitti calmierati, l’ agenzia per l’affitto e l’ housing sociale non sono accessibili  per chi ha perso il lavoro e per chi ha un lavoro precario, dimostrandosi inadeguati per le persone che da anni hanno lavorato e  hanno costruito la loro vita nel territorio reggiano, contribuendo alla ricchezza della città.

L’ 81% di chi si rivolge allo sportello è residente a Reggio Emilia o provincia, il 19% è senza residenza e di questi i due terzi hanno perso la residenza dopo lo sfratto.

Notiamo l’aumento della tendenza all’esclusione dal territorio non solo dei migranti esterni extracomunitari, ma coinvolge anche migranti dal sud Italia e i cosiddetti reggianissimi che dopo 6 mesi dallo sfratto perdono la residenza nel territorio,perdendo di conseguenza i diritti di cittadinanza, primo tra tutti la possibilità di rivolgersi ai servizi sociali cittadini.

GLI INTERVENTI DELLO SPORTELLO


Il 23% di chi si è rivolto allo sportello ha usufruito della consulenza legale, il 25% è stato accompagnato ai servizi sociali, il 5% alla Caritas e il 2% al SERT. L’11% ha deciso di occupare una casa pubblica non piu’ assegnabile, 8% è stato ospite di case già occupate ed il 22% ha rinviato o bloccato lo sfratto tramite pressioni politiche e mediatiche, il 10% ha trovato una soluzione con le proprie risorse presso famigliari ed amici e, infine, il 15 % ha accetato le condizioni offerte dai servizi sociali, precedentemente rifiutate perchè vincolate alla divisione della famiglia, da una parte madre e bambini, dall’altra il padre.


Dagli ultimi dati si nota che l’occupazione non è la soluzione piu’ praticata dalle persone che vengono allo sportello, è una scelta obbligata, l’alternativa è la strada. Chi ha deciso di occupare lo fa temporaneamente usando questa soluzione come ammortizzatore sociale, cercando una soluzione meno precaria e lasciando la casa libera per chi ne ha bisogno non appena trova una autonomia di reddito sufficiente.

All’interno di Casa Bettola ha preso sede anche l’associazione Alternativa Libertaria che promuove iniziative di tipo politico, sociale e culturale.

L’orto collettivo è stato vangato, concimato e zappato dalle famiglie che si sono unite al progetto per dare una risposta al rincaro continuo della verdura.

1 Maggio di lotta

Oggi il collettivo sottotetto – sportello per il diritto alla casa – restituisce all’uso comune uno dei tanti stabili che a Reggio Emilia vengono lasciati a marcire, vuoti, abbandonati.

In un momento come quello attuale, con una crisi che avanza macinando esistenze, la questione della casa è uno dei primi problemi a cui i cittadini si trovano a dover far fronte: affitti e mutui impossibili da pagare per chi è disoccupato, cassaintegrato, precario, stanno trasformando l’abitazione in un bene di lusso. A fronte di questa situazione è un affronto ed un’offesa lasciare case vuote, in balìa del tempo che le renderà totalmente inagibili trasformandole in tristi monumenti alla speculazione.

La scommessa su questo spazio è quella di trasformarlo da luogo di abbandono e degrado a punto di incontro, discussione e riferimento per tutti coloro che vivono sulla propria pelle l’emergenza abitativa e per tutte le cittadine e tutti i cittadini che hanno intenzione di rispedire al mittente il conto salato di questa crisi, perchè sanno di aver già pagato abbastanza.

Ai proprietari dello stabile, l’ANAS, chiediamo di aprire una trattativa perchè questo spazio ci venga lasciato per permettere un’azione di autorecupero, dando così un segnale di impegno concreto di risposta alla crisi e all’emergenza abitativa che produce.

Invitiamo perciò tutte e tutti a partecipare ad un progetto di autorecupero collettivo che restituisca dignità abitativa e sociale a a questo nuovo spazio liberato, proprio nel cuore della città.

La casa è un diritto e i diritti non spettano solo a chi se li può permettere ma a tutte e tutti per il solo fatto di esistere e respirare su questa terra.




Vedi il video della giornata

Non dimentichiamo, Non abbiamo perdonato

Blitz del Collettivo sottotetto nel consiglio comunale

Lunedì 2 Marzo alle 07.00 della mattina un messo comunale bussa con arroganza a una porta del civico 27 di via Compagnoni, consegnando a Mariem l’ingiunzione di lasciare l’appartamento entro 15 giorni. L’appartamento è occupato ma la famiglia paga di sua spontanea volontà ogni mese ad ACER un affitto minimo. Mariem è una reggiana-tunisina da ormai 18 anni, è sposata con un vetraio con cui un anno e mezzo fa ha avuto una bambina. Quello di Mariem è uno dei 5 nuclei che vennero sgomberati il 13 agosto 2008 in via Compagnoni, 5 famiglie, di cui 3 con bambini molto piccoli, sbattute fuori da 145 agenti tra vigili, carabinieri e Celere. Allora la bambina aveva 7 mesi.

Nel mese di Febbraio in via Compagnoni sono stati demoliti “preventivamente” dalla ditta al soldo del Comune tutti gli interni degli appartamenti non abitati (stando al piano comunale la demolizione avverrà nel 2011), sottoponendo i residenti a due settimane di martellate e mobili buttati dalle finestre, e devastando irrimediabilmente un patrimonio pubblico più necessario che mai in questi mesi di crisi.

Non permetteremo che Mariem e la sua famiglia vengano buttati in strada, ma soprattutto non perdoneremo chi ha sfrattato donne e bambini semplicemente per devastare tutto e riempirsi
le tasche.
Così come non abbiamo perdonato tutti quei partiti che dopo lo sgombero si sono riempiti la bocca di parole di indignazione per raccogliere consensi e poi sono spariti, infischiandosene delle famiglie e della distruzione di un bene pubblico di cui ci sarà sempre maggiore bisogno.

Saranno le persone “comuni” a pagare cara questa svendita, così come stanno già pagando, da sole, questa crisi e l’intoccabilità delle tasche delle banche e dei politici.

Di tutti questi partiti denunciamo la falsità e l’ingordigia senza scrupoli, e andiamo oggi a cercarli per dire a tutti loro, giunta e opposizione, nessuno escluso, che non abboccheremo alle vostre campagne elettorali, perchè AVETE LA FACCIA COME IL CULO!

Lo sfratto non è piu’ l’unica soluzione

Lo sfratto della famiglia di Adriana non si fa piu’. Andranno in un cosiddetto alloggio ponte, una casa per tutta la famiglia, con un contratto temporaneo di sei mesi. L’avventura pubblica di questa famiglia è cominciata il 5 novembre 2008 , data del primo presidio antisfratto, grazie al quale, insieme alle famiglie e ai precari del collettivo sottotetto, era stata impedita l’esecuzione di sfratto dalla casa di via Zambonini 1. Allora pareva che non vi fossero soluzioni , se non, in un secondo momento, la proposta inaccettabile di una struttura per l’accoglienza solo per Adriana e il figlio dodicenne. Questa proposta è stata l’unica fino al 12 gennaio mentre la definitiva esecuzione di sfratto con l’intervento della forza pubblica era fissata per il giorno successivo.

Eseguire lo sfratto oggi non sarebbe stato semplice: la famiglia di Adriana si sarebbe rifiutata di uscire, come gia’ aveva pubblicamente annunciato, e insieme a loro decine di persone erano disposte a interporre i propri corpi per evitare che questo
nucleo finisse per la strada e per l’ennesima volta venisse calpestato il diritto alla casa in questa citta’.

Quando il 5 novembre 2008 abbiamo effetuato il primo blocco ci è stato detto che: a) – Non serviva a nulla. b) – Che non era
con gesti illegali che si poteva difendere il diritto di qualcuno ad avere una casa. Siamo felici di averli smentiti perchè: a) – Da una situazione disperata senza vie di uscita si è passati a trovare una soluzione. b) – Se avessimo obbedito alla legge che ci imponeva di lasciare quella casa ora Adriana, Mario e Karim sarebbero in strada.

Siamo coscienti che come Adriana migliaia di persone si vivono i costi della crisi economica, ci rammarica che per avere un tetto sulla testa sia necessario essere in forte difficoltà, preferibilmente in stagione pre-elettorale. Ci chiediamo come faranno
tutte le altre persone nei prossimi tempi.


Lettera al primo cittadino di Reggio Emilia, Sindaco Graziano Delrio

Caro Graziano,

 
non sappiamo se ti ricordi di noi ma crediamo di sì.

Siamo quelli che hai sgomberato in grande stile in agosto per potere avere un cumulo di macerie dove prima c’erano case, e con tre anni di anticipo.Siamo quelli che hai sgomberato venerdi 14 novembre in via Fenulli per potere vendere una casa pubblica all’asta, siamo quella famiglia che non sei riuscito a sfrattare in via Zambonini. Siamo quelle famiglie che vengono sfrattate ogni giorno, a ritmo di catena di montaggio, nella "ricca" Reggio.


Da qualche anno ormai ti stiamo ponendo una serie di domande critiche sulle politiche che riguardano l’abitazione nel senso sociale .


 
Ti stiamo chiedendo perchè la Reggio Emilia dei primati stà sostituendo l’edilizia pubblica con housing sociale, che è denaro pubblico regalato ai privati a fondo perduto.

Quello che ti stiamo chiedendo è come giustifichi le tante case publiche vendute, in vendita o abbattute; come giustifichi la costruzione di 14000 nuovi appartamenti privati in così poco tempo e dall’altra parte un forte aumento delle persone che non riescono ad accedere ad un diritto primario come la casa. Come giustifichi di non aver mai risposto fino ad ora nè a noi nè a tutti quelli che, anche in modo non pubblico, ogni giorno ti fanno le stesse domande quando bussano alla porta dei servizi sociali o a quella del tuo ufficio.
 
Forse sono domande troppo imbarazzanti? Forse chi non riesce piu’ ad avere una casa non fà parte dell’allestimento della vetrina Reggio Emilia? E’ per questi motivi che non rispondi pubblicamente ma solo tramite l’intervento violento della forza militare? Perchè tu lo sai, vero, caro Grazziano, che sbattere persone in strada o dividere famiglie è una forma di violenza a tutti gli effetti?
 
Vorremmo comunque comunicarti che anche sè cerchi di tapparci la bocca, noi di bocche per parlare nè abbiamo tante.E le persone con il problema della casa stanno diventando troppe e fra poco sotto il tuo tappeto non ci staranno piu’.


Collettivo sottotetto
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Sgomberata casa in via Fenulli

Venerdi14 novembre è stata  sgomberato un appartamento autoassegnato da giovani precari ed universitari del collettivo sottotetto.

Lo sgombero è avvenuto in sordina alla mattina alle 8 per mezzo di 10 vigili urbani ed operai di ENIA, è curioso come la giunta si schieri contro la riforma Gemmini e poi approfitti del giorno dello sciopero generale a Roma per lasciare universitari e precari in strada.

 

Leggi il comunicato 

Il Collettivo Sottotetto blocca lo sfratto alla famiglia di Adriana

Oggi 5 novembre abbiamo organizzato un presidio antisfratto riguardante una famiglia composta dai genitori ed un bambino con il 75% di invalidità. Alle ore 10 di questa mattina si presentano l’ufficiale giudiziario, un rappresentante dell ACER (Agenzia Case Emilia Romagna) ed il fabbro per cambiare la serratura dell’appartamento chiedendo alla famiglia di uscire.

La famiglia con il collettivo si sono rifiutati di lasciare l’appartamento fino a quando non si fosse trovata una soluzione, dopo alcune ora di trattative e minacce di intervento delle forze dell’ordine lo sfratto è stato rinviato al 13 gennaio del 2009.

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