CIÒ CHE CI SIAMO PRESI NON È NEANCHE UNA MINIMA PARTE DI CIÒ CHE CI SPETTA

giovedì, 22 marzo 2007


QUARTA AUTOASSEGNAZIONE DEL COLLETTIVO SOTTOTETTO


Oggi è stata restituita alla collettività un’altra delle troppe case (105 solo nel quartiere Compagnoni) che ACER e amministrazione comunale di Reggio Emilia da anni tengono vuote in attesa di speculazione.

La casa verrà abitata da una famiglia, quella della signora Franca, che già il 21 febbraio aveva reso pubblica la propria situazione abitativa con una conferenza stampa.

La signora Franca, la figlia e la nipote minorenne e studente, con un solo stipendio e una pensione minima, non sono più in grado di sostenere una spesa mensile di 600 Euro per il solo canone di locazione.

La denuncia di questa famiglia, sostenuta dallo sportello per i diritti alla casa, del Collettivo sottotetto, non ha ottenuto alcuna risposta dagli organi competenti (assistenti sociali, Comune,…) ma solo il consiglio di iscriversi alle “liste” per l’accesso al canone agevolato.


Ma cosa sono in realtà queste liste?


Il Comune di Reggio Emilia (delibera n.264 del 11/10/2006) “a fonte della indisponibilità di aree e/o immobili di proprietà pubblica” prevede una collaborazione con soggetti privati ai quali permette di “realizzare un indice aggiuntivo [di costruzione, ndr.] pari allo 0.05 mq/mq da destinarsi all’affito convenzionato con il Comune”. La convenzione consiste nell’impegno da parte dei privati di affitare lo 0.05 a canoni ridotti (i primi disponibili vanno dai 200 al 630 euro) per quindici anni (trascorsi i quali gli immobili torneranno pienamente privati) con contratti di libero mercato cui sarà possibile accedere tramite l’iscrizione in “liste” dalle quali il privato potrà scegliere l’inquilino più adatto. Questa è l’edilizia popolare del futuro?

Non graduatorie quindi, ma liste, non un Comune che si fa garante e responsabile di un diritto, ma un’amministrazione che diventa agenzia immobiliare, non patrimonio pubblico che al contrario viene venduto e/o abbattuto, ma edilizia privata, cementificazione, speculazione.

L’amministrazione e gli assistenti sociali che lavorano a contatto con i cittadini, anziché dare alle persone gli strumenti per riconquistare la propria autonomia e dignità, adottano solo interventi marginali che non risolvono l’esigenza abitativa.


Nonostante la disponibilità enorme di case sul territorio la città di Reggio Emilia è quinta in Italia per le richieste di esecuzione di sfratto, con una richiesta ogni 135 famiglie (inchiesta del Sunia, febbraio 2006). Gli alloggi di edilizia residenziale pubblica sono appena 3972 in tutta la provincia, parte dei quali verrà venduto in una qualche asta mentre in graduatoria 1500 famiglie (senza contare chi ha rinunciato ad iscriversi) aspettano da anni l´assegnazione di un alloggio popolare. Guardandosi intorno si potrà facilmente notare che non tutti, in questa città

a prima vista ricca con un bel ponte firmato “Calatrava” o mega complessi “Giglio e multisala”, hanno la fortuna di avere un tetto sulla testa.


In questa città, sopra-vissuta sempre più da precari, non solo nel lavoro ma anche nella vita come pensionati, universitari, migranti e lavoratori delle coop sociali, vogliamo essere protagonisti sociali e non spettatori. Per questo chiediamo al Comune di Reggio Emilia di dare un segnale concreto e non di vetrina bloccando gli sfratti, gli abbattimenti e le aste alle case popolari spesso lasciate all’abbandono.

Non vogliamo vedere nei prossimi anni la crescita di nuove barraccopoli e sosteniamo il diritto alla casa come un diritto fondamentale, che dà alle persone la possibilità di una vita degna.



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